La lógica de la pacificación: guerra, policia, acumulación

di Alexik

Mark Neocleous, La lógica de la pacificación: guerra, policia, acumulación, Athenea Digital – 16(1): 9-22, marzo 2016.

In occasione  del workshop Policing Extractivism: Security, Accumulation, Pacification, tenutosi al Melendugno nel ottobre 2018, abbiamo avuto l’occasione di approfondire direttamente con Mark Neocleous  il concetto di pacificazione, declinandolo nello specifico delle strategie di contrasto contro i movimenti che difendono i territori dalle aggressioni speculative.
All’epoca parte della discussione si era soffermata sulle perplessità indotte dall’uso termine “pacificazione”  in sostituzione di altri ritenuti più chiari e definiti , come “repressione”.
Una perplessità comprensibile dopo essere stati bombardati per anni con termini partoriti da una sorta di neolingua orwelliana, dove per esempio le guerre imperialiste sono diventate guerre umanitarie o operazioni di peace keeping.
La perplessità facilmente risiede anche nel dubbio che l’introduzione di un termine che richiama la pace possa servire ad edulcorare la realtà della violenza degli Stati e del Capitale, perché siamo abituati ad attribuire alla pace esclusivamente un significato positivo.
Forse però, a questo proposito, dovremmo attingere dalla nostra storia antica, recuperando le parole che Tacito ha attribuito a Calgaco, comandante dei Caledoni, nell’esortare alla resistenza contro l’invasione romana:

Per voi tutti che siete qui e che non sapete cosa significhi la servitù, non esiste altra terra oltre questa e neppure il mare è sicuro, da quando su di noi incombe la flotta romana. I nostri compagni che si sono battuti prima di adesso con diversa fortuna contro i romani avevano in noi l’ultima speranza di aiuto, perché noi … avevamo persino gli occhi non contaminati dalla schiavitù…  Ma dopo di noi non ci sono più altre tribù, ma soltanto scogli e onde e un flagello ancora peggiore, i romani, contro la cui prepotenza non servono come difesa neppure la sottomissione e l’umiltà. Razziatori del mondo, adesso che la loro sete di universale saccheggio ha reso esausta la terra, vanno a cercare anche in mare: avidi se il nemico è ricco, arroganti se povero, gente che né l’oriente né l’occidente possono saziare. Loro bramano possedere con uguale smania ricchezze e miseria. Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero. Fanno il deserto, e lo chiamano pace” (Tacito, De vita Iulii Agricolae).

In questo senso,  il termine pace assume caratteri ben poco edulcoranti.
La pacificazione descritta da Tacito/Calgaco è l’imposizione della pace manu militari da parte di chi ha portato la guerra, ed è la premessa  per la nascita – sulle ceneri (il deserto) della civiltà sconfitta – del nuovo ordine imperiale, e per l’imposizione del lavoro schiavistico e servile.
Un nuovo ordine spogliato da ogni orpello “civilizzatore” e reso nella sua sostanza di furto, massacro, rapina (“con falso nome”:  già 2000 anni fa Tacito svelava la mistificazione semantica).

Già nel 98 d.c. , quindi, vengono descritti i fondamenti del concetto di pacificazione, che verrà poi sviluppato e  ampliato nei millenni successivi, aggiornandolo e adattandolo per meglio servire alla costruzione di sistemi di dominio al passo con i tempi: dall’ordine imperiale all’ordine capitalistico, dal lavoro servile/schiavistico al lavoro salariato.

Il saggio di Mark Neocleous ne approfondisce la sua accezione contemporanea, ripercorrendo l’evoluzione storica del termine “pacification” nel discorso politico e militare e del suo utilizzo in contesti di aggressione e occupazione coloniale, dall’invasione delle Americhe, alle guerre coloniali francesi (dall’Indocina all’Algeria), alla guerra del Vietnam.
Neocleous si sofferma sull’uso del termine nell’ambito delle teorie della controinsurrezione, elaborate contro i movimenti di liberazione nazionale e contro i movimenti socialisti e comunisti.
“Pacification” è un termine militare, ed è un atto militare, da tempo utilizzato contro i movimenti.
Il suo uso attuale non solo riassume, senza nulla togliergli, i concetti di repressione e di guerra, ma anche tutta una serie di misure che affiancano l’uso della violenza fisica al fine di “ridurre le popolazioni ad una sottomissione pacifica”.
Misure di vario genere, coordinate in maniera coerente, da attivare nella fase della distruzione (intelligence, guerra psicologica, propaganda,creazione di dissenso nel campo nemico, erogazione di servizi e benefici per chi si sottomette), per arrivare dove la violenza fisica non arriva.
Ma soprattutto misure finalizzate alla costruzione di un nuovo ordine, capace di garantire nel tempo la perpetuazione del dominio (costruzione di infrastrutture, attuazione di riforme, progetti di sviluppo).
In questo senso il concetto di “pacification” assume un’accezione molto più ampia di quanto non comprendano i concetti di repressione e guerra.
Da alcuni passaggi del saggio ne emerge la funzione di controrivoluzione preventiva:

la lotta militare contro l’insurrezione era solo una dimensione di un progetto molto più ampio di creazione di un ambiente socio-politico in cui l’insurrezione non sarebbe riemersa in futuro”.
le potenze coloniali hanno riflettuto a lungo sulla pacificazione come una guerra per costruire: costruire la civiltà, il mercato, gli ordini sociali in cui la resistenza al capitale viene amputata prima che inizi”.

Una accezione che può includere fenomeni molto diversi, come il piano Marshall nel secondo dopoguerra, pensato per  impedire alla rabbia delle popolazioni europee, colpite da lutti, distruzione e fame, di trasformarsi in tentazioni rivoluzionarie, plasmando al contempo la ricostruzione postbellica nel segno di un nuovo ordine di mercato ad egemonia statunitense.
Oppure la diffusione dell’eroina negli anni ’70 per distruggere i movimenti sociali, o la costruzione di egemonia ideologica tramite l’industria culturale …

Nel contesto delle lotte antiestrattiviste, sicuramente si configurano come forme di pacification la repressione di piazza e la violenza contro i militanti, la criminalizzazione mediatica e giudiziaria contro i movimenti, ma anche la deregulation normativa in materia ambientale, la creazione di ‘tavoli di dialogo’ fini a se stessi, la corruzione di politici, amministratori e leader sociali, la logica delle compensazioni per dividere le comunità.

Una strategia a tutto campo, che varia nei particolari a seconda delle situazioni e convenienze, ma che trova nel saggio di Mark Neocleous una efficace chiave interpretativa.
Buona lettura.

La lógica de la pacificación: guerra, policia, acumulación

La logica della pacificazione: guerra, policing, accumulazione.

 Abstract:

Il concetto di pacificazione ci permette di comprendere il ruolo produttivo che la violenza di stato gioca nel proteggere il capitale e fabbricare l’ordine borghese.
Prendendo come riferimento la lunga storia del pensiero della classe dominante nella teoria e nella pratica della pacificazione, l’articolo di Neocleous sostiene che a fini tattici, la teoria critica ha davvero bisogno di riappropriarsi del termine “pacificazione” per rendere conto della natura della violenza come parte nucleare della colonizzazione sistematica. Una violenza che ci è stata venduta come “pace e sicurezza”.
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Este artículo mantiene que el concepto de pacificación nos permite entender el pa-pel productivo que la violencia estatal juega a la hora de asegurar el capital y fa-bricar el orden burgués. Tomando como referencia la larga historia sobre el pensa-miento de la clase dominante en la teoría y la práctica de la pacificación, el artícu-lo argumenta que para propósitos tácticos, la teoría crítica necesita realmente rea-propiarse el término de “pacificación” para dar cuenta de la naturaleza de la vio-lencia en tanto que parte nuclear de la colonización sistemática. Esta es una vio-lencia que se nos ha vendido como “paz y seguridad”.
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This article argues that the concept of pacification allows us to understand the productive role that state violence plays in securing capital and fabricating bour-geois order. Using the long history of ruling class thinking on the theory andpractice of pacification, the article claims that for tactical purposes critical theoryreally needs to re-appropriate the term ‘pacification’ to help grasp the nature ofthe violence at the heart of systematic colonization. This is a violence that is soldto us as ‘peace and security’.