Riunificazione con la Madre Terra: compito urgente per affrontare le pandemie

di Alberto Acosta (*)

“Speriamo che la pandemia di coronavirus, come la peste nell’antica Grecia, si riveli un evento storico che arrivi a instaurare l’intelligenza della vita nella coscienza umana; che riesca a ricodificare il sillogismo aristotelico “tutti gli uomini sono mortali”, per ricomporre la vita di Gaia, della Pachamama. Per instaurare nel pensiero un nuovo sillogismo: la vita è natura/io sono un essere vivo/io sono natura “. Enrique Leff

L’umanità, con la pandemia di coronavirus, sembra vivere un film dell’orrore, che ci mette di fronte brutalmente e globalmente alla possibilità della fine della sua esistenza sul pianeta. Non essendo un film bensì una dura realtà, si tratta di una mega produzione che sta andando avanti da molto tempo. Questa pandemia non viene dal nulla, non è il prodotto di un semplice complotto. La pandemia di Covid-19 ci mette di fronte a una realtà che è andata deteriorandosi rapidamente da almeno sette decenni, anche se con una maggiore brutalità negli ultimi tempi. Dobbiamo anche ammettere che la recessione economica non è un prodotto del coronavirus, visto che ha già iniziato a colpirci dall’anno scorso.

Questo momento difficile ci spinge a memorizzare, riflettere e agire.

Stiamo vivendo una crisi multipla, generalizzata, multiforme e interrelata, più che sistemica, con chiari segni di una debacle della civiltà. Non sono mai sorti così tanti problemi contemporaneamente, che vanno oltre la dimensione sanitaria, mostrando i propri effetti sulla politica, sull’economia, sull’etica, sulla sfera energetica, alimentare e – ovviamente – culturale. Ma i gravi problemi non si limitano a queste dimensioni, perché ci sono anche innegabili effetti ambientali.

Per cominciare, riconosciamo la realtà così com’è, per quanto difficile possa essere. Non parliamo più dei cambiamenti climatici. Siamo precisi nei termini. Siamo nel mezzo di un collasso climatico: non possiamo dimenticare che i cambiamenti climatici sono stati parte integrante della storia della Terra. E questo collasso è stato forgiato dagli esseri umani nel quadro di quello che è conosciuto superficialmente come “antropocene”, che in termini corretti corrisponde al “capitalocene”.

 La crisi del coronavirus e i suoi rischi

Da questa rapida introduzione, è lecito dare una lettura in chiave di crisi. I due kanji della parola crisi in cinese, ci pongono la questione: problemi e opportunità.

Le origini profonde di questa crisi poliedrica sono facili da vedere. Citiamone alcune. Consumismo e produttivismo che devastano le risorse del pianeta e annientano gli equilibri ambientali.
Tecnologie che, invece di agevolare la vita degli esseri umani, accelerano l’accumulo di capitale, danneggiando sempre più la psiche delle società, consentendo al contempo il consolidamento di uno Stato sempre più autoritario, come in Cina.
Ambizione ed egoismo che portano alla distruzione dei tessuti comunitari e al consolidamento di un individualismo che diventa una malattia sociale.
La fame di milioni di persone, non tanto per la mancanza di cibo, che ce n’è fin troppo, semmai perché molte persone non hanno la possibilità di acquistarlo (o produrlo) o semplicemente perché viene sprecato; si specula con questo; ci si alimentano automobili: biocombustibili; si depreda la biodiversità; mentre in altri segmenti influisce sull’obesità.

Estrattivismi fuori controllo che distruggono le basi della vita e consolidano un sistema economico iniquo e predatore. Flessibilità lavorativa finalizzata alla competitività e che aumenta lo sfruttamento sul lavoro. Predominio della  finanza, soprattutto nella sua fase speculativa, sulle attività di produzione di beni e servizi che, a loro volta, superano di gran lunga la capacità di resilienza della Terra.
Culto della religione della crescita economica permanente che trascende i limiti biofisici del pianeta. E tutto per garantire l’accumulazione del capitale, che spinge verso un’inarrestabile mercificazione della vita, un vero e proprio “virus mutante”. Tutto ciò riassume la sceneggiatura di questa grande mega produzione di distruzione, che è già in elaborazione da molto tempo.

Ora, i portavoce del potere, ignorando queste innegabili constatazioni, fanno accorati appelli affinché ci prepariamo a recuperare il tempo perduto. A questo punto, senza aumentare ulteriormente le minacce e i rischi del caso, andiamo avanti inseguendo le opportunità, poiché è da considerare un dato di fatto che non si può tornare alla normalità perché la normalità è il problema. Si tratta in realtà di una a-normalità prodotta dal capitalismo.

Ricostruendo e costruendo vaccini per le pandemie

In questo momento stanno godendo di rinnovata forza le alternative esistenti in vari angoli del pianeta. Esistono una varietà di nozioni e visioni diverse e complementari su come immaginare e realizzare una trasformazione socio-ecologica vitale, impossibile da raggiungere con le impostazioni proprie della modernità. Sono visioni che ci consentono persino di leggere la realtà in modo diverso, al fine di comprendere meglio il mondo in cui viviamo e nello stesso tempo ci invitano a riconsiderare le nostre tradizionali categorie di analisi.

Alcune di queste nozioni emergenti sono una sorta di rinascita delle cosmovisioni dei popoli indigeni; altre sono emerse dai movimenti sociali ed ecologisti relazionati ad antiche tradizioni e filosofie; molto più numerose sono le risposte di diversi gruppi composti da varie persone che affrontano la dura e frustrante quotidianità con azioni che iniziano a configurare alternative, anche con capacità di trasformazione civilizzatrice. Questo fermento di alternative si dà nel bel mezzo della pandemia attraverso la costruzione di una molteplicità di risposte che provengono dalla creatività e dal lavoro delle comunità.

A differenza dello sviluppo, che è un concetto basato su un falso consenso, queste visioni alternative non possono essere ridotte ad un’unica visione e pertanto non rappresentano un mandato globale indiscutibile. Né possono aspirare ad essere adottate come un obiettivo comune da organizzazioni internazionali per poi solo allora diventare realtà. Molte di queste idee nascono come proposte radicali di cambiamento, soprattutto da ambiti locali, in particolare comunitari, ma ce ne sono anche di livello nazionale e persino globale.

Questa decostruzione dello sviluppo apre con forza le porte del Buen Vivir, una cultura della vita con denominazioni e varietà diverse in diverse regioni del Sud America: sumak kawsay o suma qamaña; ubuntu, con la sua enfasi sulla reciprocità umana in Sudafrica e vari equivalenti in altre parti dell’Africa; swaraj con la sua enfasi sull’autosufficienza e l’autogoverno, in India; e molti altri ancora.
I postulati ecofemministi nonché il paradigma del cuidado, ovverosia ciò che si riferisce alle attività finalizzate alla riproduzione della vita e non del capitale,  rappresentano un altro aspetto molto potente all’interno di questo arcobaleno “post-sviluppista”, che deve necessariamente essere anche “post-estrattivista”. La necessità di liberare la salute e l’educazione dalla sfera commerciale è fattore assolutamente essenziale. A cui ovviamente c’è da aggregare tutto il contributo “decoloniale”.

Il Buen Vivir, insomma, rappresenta una chiara alternativa allo sviluppo, di gran lunga più in là dello svuotamento concettuale che ha subìto da parte dei governi progressisti di Bolivia ed Ecuador. Questo Buen Vivir indigeno – pensiamo ad esempio a ciò che accade in Amazzonia – è quello che molte volte ha reso possibile la protezione delle foreste e delle selve, dei parami, delle fonti d’acqua e della stessa diversità biologica e culturale, come azione concreta per affrontare il collasso climatico. E il principio che lo ispira – pensato al plurale: buone convivenze – è  l’armonia o, se si preferisce, l’equilibrio nella vita dell’essere umano con se stesso, degli individui vivendo in comunità, tra comunità, popoli e nazioni. E tutti, individui e comunità, convivendo in armonia con la Natura. In definitiva, noi esseri umani siamo Natura.

Una cura per le pandemie…

Recuperare e costruire relazioni di armonia con la natura è la grande missione. Bisogna frenare il suo forsennato sfruttamento; deve essere demercificata; dobbiamo rincontrarci con essa, assicurando la sua rigenerazione, a partire dal rispetto, dalla responsabilità e reciprocità, dalla relazionalità.
Per riuscire in questo dobbiamo cambiare la storia dell’Umanità, quella storia del dominio dell’uomo – sì, al maschile – sulla Natura. Per secoli, il rapporto società-ambiente è stato caratterizzato dall’utilitarismo e dallo sfruttamento delle risorse. Questa realtà spiega la separazione tra Umanità e Natura. E ciò ha portato a una relazione di subordinazione della Natura – rafforzata dalle idee di “progresso” e “sviluppo” – che è ciò che in seguito ha generato tutti i tipi di pandemie – ricordiamo i recenti incendi in Amazzonia –  che puntano dritte verso una terribile catastrofe socio-ambientale.

Ma allo stesso tempo, specialmente nel mezzo di questa mega crisi, le possibilità di rincontro dell’Umanità con la Madre Terra si profilano con forza, a partire da prospettive come quelle già menzionate del Buen Vivir. Sarà un processo lungo e complesso, questo, rafforzato dalle lotte di resistenza e di re-esistenza di diversi gruppi popolari, in particolare indigeni.

Sebbene gli indigeni non abbiano un concetto di Natura come quello esistente in Occidente, il loro contributo è fondamentale. Capiscono perfettamente che Pachamama è la loro Madre, non una mera metafora. In questo senso, ogni sforzo per plasmare i Diritti della Natura fa parte di una reiterazione di un meticciaggio emancipatorio che provoca un “ibrido giuridico”, dove vengono recuperati elementi di tutte quelle culture occidentali e indigene affratellate per la vita. Culture che trovano nella Pachamama l’ambito di interpretazione della Natura, uno spazio territoriale, culturale e spirituale, che non può essere per nessuna ragione mercificato né emarginato.

Senza arrivare ad ammantarle di romanticismo, le comunità indigene – portatrici di una lunga memoria – hanno dimostrato che gli esseri umani possono organizzare stili di vita sostenibili. Questa relazione così armoniosa con la Natura – presente in molti spazi del mondo indigeno, ma non in tutti – è in sintonia con la “sostenibilità”; concetto che, di certo, è stato stravolto ed estremamente banalizzato, anche quando con esso si vuole mascherare lo sviluppo presentandolo come sostenibile.

I Diritti della Natura focalizzano la loro attenzione sulla Natura, che ovviamente include l’essere umano. La natura vale per se stessa, a prescindere dall’uso che ne fanno le persone, implicando una visione biocentrica. Questi diritti non difendono una Natura incontaminata. Questi diritti propugnano il mantenimento di sistemi e impostazioni di vita. La loro attenzione è focalizzata sugli ecosistemi, sulle collettività.

Ma bisogna andare oltre. Non si tratta di cercare un equilibrio tra economia, società ed ecologia; ancor meno usando il capitale come asse di articolazione palese o nascosto. L’essere umano e le sue necessità devono sempre avere la precedenza sul capitale, ma senza mai opporsi all’armonia della Natura, base fondamentale di ogni esistenza.
Questa combinazione di approcci è fondamentale.

Verso il pluriverso, un mondo senza pandemie…

In un’epoca in cui il neoliberismo e l’estrattivismo selvaggio brutalizzano la vita quotidiana dei cittadini e cittadine di tutto il mondo, in particolare degli abitanti del sud del mondo, è essenziale che voci di protesta e movimenti popolari si impegnino in uno sforzo concentrato di ricerca, partecipazione, dialogo e azione, ispirato ai movimenti di base e ai quali, a loro volta, renderanno conto. Abbiamo bisogno delle nostre proprie narrative. Gli atti di resistenza e re-esistenza danno speranza qui e ora. E per questo affermiamo che già si può avvertire il respiro di un futuro diverso nel segno del Pluriverso: un mondo che possa contenere tutti i mondi, garantendo una vita dignitosa a tutti i suoi esseri umani e non umani.

È tempo di strategie e lotte a tutti i livelli di scala di azione. Un punto di differenza, che dobbiamo esplorare, è la direzione verso cui concentrare i nostri sforzi. Non ci si può aspettare molto dalle dimensioni degli stati-nazione o dagli ambiti globali: dobbiamo cercare di incidere anche su di essi, anche solo per negoziare riguardo ad alcuni traguardi. Il campo d’azione appare nel dove e da dove agire, promuovendo vite comuni, in spazi comuni coabitati da pluralità e diversità, con uguaglianza e giustizia, con orizzonti collettivi, per resistere al crescente autoritarismo e nello stesso tempo costruire le buone convivenze.

(*) Alberto Acosta è un economista ecuadoriano.
Nell’attualità è professore universitario, conferenziere e soprattutto compagno di lotta dei movimenti sociali. Ministro di Energia e Miniere dell’Ecuador (2007); Presidente dell’Assemblea Costituente dell’Ecuador (2007-2008).

Questo articolo è stato scritto per la rivista Novamerica/Nuevamerica n. 166 aprile-giugno 2020. ISSN 03256960. Traduzione dallo spagnolo a cura di G.T. –  ECOR Network.